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Penultimo giorno per me, ultimo articolo per voi.
Tristi? Beh lo ero anche io. Parecchio anche.
Ma un po’ come quando mangio qualcosa e lascio la parte più buona sempre per ultima, anche con New York ho fatto lo stesso.
Mi sono alzata con un po’ di tristezza addosso. Non volevo tornare. C’avevo preso gusto.
[Tweet “Mamma ho preso l’aereo, mi sono smarrito a New York – (part.5)”] [/et_pb_text][et_pb_text admin_label=”Secondo Paragrafo” background_layout=”light” text_font=”Raleway||||” text_font_size=”16″ text_letter_spacing=”1″ text_line_height=”1.8″ custom_padding=”|4||4″ module_id=”et_custom_section_post_text” _builder_version=”3.0.85″]
L’aria ghiacciata appena uscivo la mattina, il bicchierone di caffè che mi scaldava le mani, la gente sempre di fretta, l’alzare la testa per vedere il cielo sopra i grattacieli e capire che tempo ci fosse… ero ancora là, eppure già mi mancava.
C’era ancora una giornata davanti però, quindi dai.
Per l’ultima colazione sono tornata da Perishing Square (fronte Grand Central), non potevo andarmene senza aver rimangiato quei pancakes spaziali.
Stavolta però banana e scaglie di cioccolato, solito burro da sciogliere sopra, caffè e succo. Ho mangiato tutto.
92 minuti di applausi dal parte del mio colesterolo.
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Volevo far scorta per tutto il giorno, per non sprecare poi tempo mangiando a pranzo. Volevo godermi New York e basta.
Che poi pensandoci, anche godermi quella colazione, in quel posto, senza pensieri… faceva parte del godermi New York.
Era una splendida giornata e c’era una cosa che ancora non avevo fatto. Salire sull’Empire.
Vamos allora!
86esimo piano. Un’ora e mezza di fila. Mi sono sembrati un’eternità. Sia i piani, che l’attesa.
Però…
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Sembra una frase fatta, ma effettivamente pareva di essere in cima al mondo. D’altronde sei in cima all’Empire State Building a New York, non sul campanile della chiesa di Poggibonsi. (Con rispetto ovviamente).
Comunque io ero li che giravo, facendomi i fatti miei, in cerca di un posticino per godermi lo spettacolo da sola (che suona tanto come metafora di vita).
Riflettendo sul fatto che magari sarebbe stato più bello, condividere tutto quello con qualcuno.
O magari anche no.
Alla fine, ho trovato un posto vicino ad una coppia di ragazzi, 20enni al massimo, che si stavano sbaciucchiando. Questo mi ha portato a protendere per il ‘Magari anche no’ nella mia riflessione.
Ma comunque, ad un certo punto il ragazzo si è girato verso tutta la gente che c’era, richiedendo l’attenzione di tutti. Si è inginocchiato e ha tirato fuori una scatolina nera.
L’ha aperta di fronte alla ragazza, che è ovviamente scoppiata a piangere, in mezzo agli applausi della gente. (Quando si dice ‘vincere facile’).
Beh, io in tutto ciò ero ancora li a fianco eh! (Se la metafora della mia vita non vi fosse ancora abbastanza chiara.)
Scuotendo la testa e dicendo ‘Cupido, bel tentativo, ma ci vuole ben altro per convincermi.’
Sono cinica si, ma voi non avete visto quell’anello, era veramente orrendo.
Quindi ho abbandonato la coppia felice e ho finito di godermi il mio panorama in solitaria.
Tornata nel mondo reale mi sono diretta verso Brooklyn.
Eh si perché quel giorno era il ‘GAME DAY’, ovvero avevo la partita da andare a vedere. E ormai non riuscivo piu a pensare ad altro.
Oltre alla classica passeggiata sul ponte di Brooklyn, che tanto fareste comunque anche se vi dicessi di non farla, fatevi anche tutta la Brooklyn Heights Promenade (camminata che costeggia il fiume, con vista sulla parte bassa di Manhattan).
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Poi ovviamente addentratevi e perdetevi per Brooklyn.
Alle 19.30 aprivano i portoni del Barclays Center. Arena nuova di pacca, dei Nets ovviamente.
No non sono andata al Madison, perchè ci giocano i Knicks.
E a me il basket piace.
Alle 18 io ero già là ad aspettare.
Alle 19.40, cioè con 77 minuti d’anticipo sul fischio d’inizio io ero già seduta al mio posto. Ovviamente in piccionaia, perché quel poveraccio di Jay Z non mi aveva tirato fuori l’accredito per farmi sedere tra lui e Beyonce a bordocampo.
Aldilà dell’ovvia trepidazione, (simile solo a quella che ho la mattina di Natale) per la partita, il mio anticipo era dovuto al fatto che speravo di riuscire a fare qualche foto nel pre partita. ILLUSA.
Quell’arena è inespugnabile, quasi peggio della Barriera nel Trono di spade. C’erano più steward che posti a sedere.
Vedevo la gente a bordo campo fare foto con Tim e con Manu. E io cosi:
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Ma stavo per vedere Spurs-Nets, al Barclays, niente poteva abbassarmi il morale.
Non mi mancava nulla: partita in diretta, 20$ di bibita e popcorn , tifo indiavolato e abbraccio con i ragazzi texani che mi erano seduti vicino, quando hanno scoperto che venivo dall’Italia per vedere gli Spurs.
Diciamo che vedere la partita dal computer, in piena notte, nel buio della mia camera, con le cuffie, è leggermente diverso da com’è stato quella sera.
Il basket fa’ solo da contorno.
Cinque piani di ristoranti/baracchini per scegliere cosa mangiare durante la partita, cheerleaders, kisscam, dancecam, popcorn e bicchieri che volavano ad ogni canestro di Teletovic, cori…
Non sarei più andata via.
E in effetti qualcuno deve avermi ascoltato, perché c’è stato l’overtime.
P A Z Z E S C A.
Nonostante sia stata la prima ad arrivare, sono stata comunque l’ultima ad andare via. Come al cinema quando un film mi è piaciuto e sto fino alla fine dei titoli di coda. Non volevo proprio alzarmi.
Purtroppo era finita. Ed essendo passata la mezzanotte, tecnicamente era anche finita la mia vacanza. Sono tornata in albergo, respirando a pieni polmoni tutta quell’aria di New York. Come dovessi farne scorta.
La mattina seguente avevo solo mezza giornata a disposizione e senza il minimo dubbio, l’ho passata a Central Park.
Mi ero anche ripromessa di andarci una volta per fare jogging, ma il mio livello di sportività è non sapere nemmeno come si scrive jogging… e poi non ci vado nemmeno a Padova. Quindi dai facciamo i seri!
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In ogni caso, cappello, sciarpa, musica nelle orecchie e noccioline per scaldarmi le mani (si lo ammetto, anche per gli scoiattoli. Ma era più forte di me, sono così cariniii) e via a scoprire gli angoli più nascosti del parco…
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Nel tragitto in taxi dall’albergo all’aeroporto, ho sentito gli occhi riempirsi. Forse c’era troppa New York dentro e non c’era più posto per le lacrime. Beh, almeno una ne è scesa sicuramente.
Non ero triste. Non ero nemmeno felice. Ero tutto.
E un po’ come ho capito a Parigi, era quella la sensazione alla quale puntavo quando ho deciso di iniziare a viaggiare…
C’ho provato, ma non potevo raccontarvi tutto ciò che ho visto, fatto e provato in quei giorni. Vi ho risparmiato la visita al negozio di giocattoli di ‘Mamma ho perso l’aereo‘, lo zoo di Central Park, la sua pista di pattinaggio, il mio perdermi almeno due volte al giorno sbagliando treno in metropolitana… e potrei continuare..
Ma magari qualcosa la tengo solo per me.
Però per qualsiasi dritta o consiglio vi rispondo molto più che volentieri.
Ah ovviamente non era necessario, ma come vi dicevo, quando un film mi è piaciuto rimango seduta al cinema fino alla fine dei titoli di coda… anche per godermi tutta la colonna sonora.
Quindi per chi vuole, lascio anche un po’ della mia di colonna sonora, fatene buon uso:
Sixpence None the Richer – It came upon a Midnight Clear
Sara Bareilles e Ingrid Michaelson- Winter song
The Rescues- All I want for Christmas
Pentatonix – Little Drummer boy
Lily Allen – Somewhere only we Know
Tom Odell – Real Love
Da Nuova York è tutto. Ci si becca al prossimo check-in no?
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19 anni, 29 sulla carta. Sono una giornalista, scrittrice, viaggiatrice, blogger, esperta di musica, cinefila, sportiva, imprenditrice… poi però mi sveglio tutta sudata.
E restano solo le spalle larghe, l’ironia e i Gin Tonic
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